Sudan, il villaggio che non esiste

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Era buio. Forse oramai notte. All’interno delle due piccole tende sistemate a pochi metri dal bordo dell’acqua ardeva una candela o forse qualcosa che produceva luce. Ero solo in riva al mare, mar che si diceva essere Rosso.
Silenzio atroce, lo sciacquio delle piccole onde che sbattevano sui grossi sassi bianchi. Dietro una sorta di paratia prodotta dalla riva alta e scoscesa. Nessuno, in giro: i bambini erano rintanati nelle tende.

il te nel deserto
Come lo ricordo

Improvvisamente una figura alta e robusta, tutta vestita di nero, svolazzante nel suo lungo abito scuro.
L’uomo si diresse verso di me, si sedette al mio fianco e dopo aver trafficato nelle tasche del suo lungo mantello scuro, estrasse un uovo che brillava al buio.
Poi da una ulteriore tasca estrasse una sorta di scatola, simile a quelle per il lucido. Con piccole pietre fece una sorta di riparo, poi vi versò la brace che la scatola conteneva. Quindi prese l’uovo e con una sola mano lo spezzò e lo fece colare sulla brace. Un piccolo sfrigolio e una sorta di odore di bruciato mi colpì le narici. L’uovo sulle braci ardenti cuoceva. L’uomo lo guardava senza mai dire una parola. Mi sarei aspettato una sorta di sua e
invece continuò a badare al suo uovo che si spargeva sopra il rosso delle braci. Quando lo ritenne cotto, dopo averlo spezzato, me ne allungo una parte. Forse la paura forse non avendolo visto in viso, non accettai, feci un segno di no con la testa, mentre lui trangugiava rapidamente le due parti. Timore? Paura? non lo so e, ad anni di distanza, mi spiace non averlo ringraziato di quel gesto. Veniva di chissà dove, andava chissà dove, non aveva chiesto nulla, non ci aveva aggredito, anzi si era comportato con la massima cortesia. Almeno per il luogo in cui noi ci trovavamo. Com’era venuto, se ne andò. In silenzio. Probabilmente salutando. Ma ero talmente frastornato da non essere in grado di aver sentito nulla. Rimasi come tramortito. Mi voltai salii sul terrapieno ma di lui neppure l’ombra.

L’unica cosa che sapevo e sapevano anche gli altri che in quel territorio si guerreggiava; noi, bianchi e ricchi non eravamo graditi.
Non so esattamente se stessero facendosi una guerra tra gruppi rilavi, ma sapevo che eravamo nel mezzo di una sorta di guerriglia..
Raccontai l’accaduto la mattina dopo ma non fece molto scalpore. Come da programma smontammo le tende, rifacemmo i pacchi, mettemmo tutto nel fuoristrada partimmo verso il nord.
Avevamo tutti fame e sete. Non avevamo festeggiato come si doveva. Non c’era rimasto nulla nelle nostre riserve.
Il mare alla nostra destra. Una lunga strada diritta. Con grosse buche, qualche solitario cammello che vagava in quei campi giallognoli, aridi, soffocanti.
La strada aveva delle gobbe, procedeva verso nord. Non c’era modo di recuperare cibo lungo la strada. Polvere, silenzio, vento, odore di mare. Che stava oltre le dune sulla nostra destra.
Poi ci trovammo il mare davanti ed un modestissimo cartello pittato mano: Diving Center. Avevamo fatto centinaia di kilometri a vuoto ed ora l’avevamo di fronte. Era su un’isoletta poco oltre la terraferma, sarebbero venuti a prenderci e come avremmo fatto sapere loro che avevamo bisogno di cibo e acqua? Proseguimmo quel tanto che bastava e ci fermammo ad aspettare che qualcuno si facesse vivo. Vennero a prenderci con una piccola barca ed entrammo in quel villaggio. Si chiamava Arous. Tante piccole casette bianche con le finestre verdi allineate fronte mare, una grande casa alla fine, forse la reception o il ristorante.
Un uomo venne verso di noi. Chiedemmo e ci disse di seguirlo. Entrammo nella grande casa. Poi ci trasferimmo in cucina. L’uomo parlava italiano. Non spiegò da dove venisse o perché fosse lì. Con estrema cortesia e gentilezza ci diede del cibo e dell’acqua. Girammo qualche ora tra quelle casette ma dovevamo proseguire, avevamo un volo per casa due giorni dopo. Un po’ di anticipo non faceva certo male.
Tornammo, ciascuno a casa sua. Saluti in abbondanza, divertiti si un mondo, i ragazzi saltavano come grilli. Baci e abbracci. Correva l’anno 1979. Passarono anni, i ragazzi crebbero, gli amici se ne andarono ed io quel giorno avevo una tela bianca da riempire. Mi dilettavo di pittura. Avevo una vaga idea su cosa fare lì sopra.

Un lampo a ciel sereno.
Mi ricordai di quell’uomo con il barracano e la tela prima diventò blu, poi nera, poi con la traccia di un uomo seduto.
Lo finii in due giorni, cercando di rendere il blu del cielo simile come lo ricordavo. Impossibile.
Come spesso capita, ti viene tutto per caso, ti casca addosso. Mentre armeggiavo con la matita su quelle tela intonsa la figura di quell’uomo seduto sui ciottoli di fronte al mare mi venne in testa. Tracciai alcuni segni prima che tutto scomparisse nuovamente nell’oblio dei ricordi lontani.
In due giorni finii quel dipinto, per me un grandissimo ricordo. Per gli altri non lo so. Sempre per caso girando in rete mi trovai in Sudan. Decisi di trovare quel posto. Scrivendo Arous mi cadde il mondo addosso.
Era l’anno 2024.
Non avevamo, noi ed io, capito nulla. Tutto era perfettamente corretto e perfetto che alcuno di noi non capì di cosa si trattasse. Non stavano girando un film, c’era la solita vita di un villaggio per subacquei. Si chiamava RED SEA DIVING. Nacque nel 1972. Ma per un motivo specifico. Salvare gli ebrei etiopi in un’operazione denominata “Brothers”. (operazione Fratelli n.d.r.)
(c’è un film al riguardo su Netflix con il titolo Red Sea Diving Resort)
Ci diedero cibo e acqua e lasciammo il villaggio alle proprie attività e noi al nostro aereo.
Ho letto un articolo dell’aprile 2018, vecchio di anni anche lui, di quel che fecero i servizi segreti israeliani al riguardo e lo si può leggere in rete in italiano qui: https://it.insideover.com/guerra/resort-mossad-israele.html
Si tratta di questo: Carestie e siccità trascinano il Paese in una grave crisi umana, politica ed economica. La rivoluzione etiope aggrava una situazione già complessa e tesa. Scontri tra diversi clan ribelli, tra cui gruppi di ebrei che si rivoltano contro il regime militare, ha la conseguenza di una guerra civile.
Nel corso degli anni, migliaia di Ebrei Etiopi cercano di fuggire dal territorio,
cercano rifugio negli stati vicini. La missione passata alla storia
come “Operazione Fratelli” è la vicenda a cui si ispira il film di cui parla
l’articolo.
Noi non sapevamo nulla e l’uomo che mi si avvicinò era, forse, uno dei fuggitivi. Lo presumo ma non lo saprò mai.
Gli ho dedicato un piccolo quadro, spero si sia salvato.
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